Il passaggio graduale alla coda integra riduce i problemi, ma la completa eliminazione della caudectomia comporta criticità in termini di mortalità, lesioni e costi di produzione.
Un recente studio condotto dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), in collaborazione con l’IZS del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, l’Università di Padova e l’Università di Torino, ha analizzato i dati- raccolti tra il 2015 e il 2022 -di 22 allevamenti appartenenti alla stessa filiera che avevano volontariamente intrapreso il percorso di abbandono della caudectomia in tre fasi: dal 100% di suini caudectomizzati, al 50% di suini a coda integra, fino al 100%.
I risultati hanno mostrato che la fase intermedia (con una quota di animali a coda integra) può essere gestita con successo, mentre il passaggio al 100% ha comportato un aumento di mortalità, lesioni riscontrate al macello e costi di produzione (+34% in svezzamento e +7% in ingrasso), oltre a una riduzione dell’efficienza alimentare.
Gli autori sottolineano come la gestione di suini non caudectomizzati richieda tempo, adattamenti strutturali e manageriali, nonché arricchimenti ambientali adeguati. Nel breve periodo, la soluzione più sostenibile sembra essere un approccio graduale, con gruppi limitati di suini a coda integra che permettano agli allevatori di affinare le strategie di prevenzione e intervento.
Il contesto- La Commissione Europea raccomanda da anni agli Stati Membri di ridurre la caudectomia nei suini, pratica ancora diffusa per prevenire i fenomeni di morsicatura della coda. L’allevamento di suini con coda integra è considerato un indicatore indiretto di benessere animale e, in risposta alle raccomandazioni europee e alla crescente attenzione dei consumatori, molti allevatori hanno intrapreso percorsi volontari di adeguamento. Dal 2019, inoltre, in Italia è in vigore un Piano nazionale obbligatorio per il progressivo abbandono del taglio della coda.