• Utenti 10
  • Articoli pubblicati dal 4 novembre 2001: 30945
EDITORIALE

Vaccinarsi contro SARS-Cov2

Vaccinarsi contro SARS-Cov2

L’ANMVI resta dell’idea iniziale che i Medici Veterinari debbano vaccinarsi contro SARS Cov-2, tuttavia l’approccio impositivo è criticabile ora che il Governo sta allentando le restrizioni. 

In piena pandemia, prima che venissero autorizzati i vaccini anti Covid-19, ANMVI aveva chiesto al Ministro Speranza che la profilassi anti Covid-19 venisse offerta gratuitamente e proattivamente ai Medici Veterinari, proprio come si fa da anni per il tradizionale vaccino antinfluenzale. Nessuna risposta. All’avvio delle somministrazioni, a dicembre del 2020, tornammo ad interessare il Ministro affinché i Medici Veterinari fossero inseriti tra le categorie prioritarie. Lo chiedevano, giustamente, a gran voce tanti Colleghi che da mesi stavano esercitando in condizioni di maggiore esposizione al contagio rispetto ad oggi.

Molte Regioni lo fecero di loro iniziativa pur in assenza di indicazioni dal Ministero della Salute, mentre all’ANMVI rispose tempo dopo solo il Commissario Straordinario, il Generale Figliuolo, quando ormai la maggioranza di noi aveva già ricevuto la prima dose. Era in atto il cambio di passo: le vaccinazioni non avrebbero più seguito il criterio delle categorie (i furbetti del vaccino, si disse) ma esclusivamente quello della fragilità immunitaria e delle classi di età. Presto sarebbe arrivato, in piena festività pasquale 2021, il decreto del Governo Draghi che su proposta del Ministro della Salute introduceva l’obbligo vaccinale per tutti gli esercenti le professioni sanitarie, a causa di una consistente obiezione vaccinale nel personale medico e sanitario ospedaliero. Fin da allora, tutte le norme sull’obbligo vaccinale sono state scritte frettolosamente male, riversando sulle Asl e sugli Ordini professionali il compito di organizzare un sistema disorganizzato via via che la confusione cresceva peggiorata da circolari ancor meno chiare e chiarificatrici (a proposito di burocrazia). C’è voluto il Consiglio di Stato a dare un razionale all’obbligo, sulla spinta di proteste e di ricorsi che hanno modificato i successivi provvedimenti, qualche volta in senso peggiorativo. Il caos non ha risparmiato nemmeno i Giudici del TAR che in alcuni casi hanno passato la palla alla Corte Costituzionale (siamo in attesa). In questo contesto ha fatto difetto anche la corrispondenza istituzionale, per questo ANMVI ha fatto notare alla Direzione Generale della Prevenzione che le circolari sull’emergenza sanitaria non includevano tra i destinatari i Medici Veterinari (né l’Ordine né l’associazione di categoria) una trascuratezza a cui è stato posto rimedio solo dopo alcuni solleciti.

Per arrivare ai nostri giorni, il 31 marzo è terminato lo stato di emergenza ed è stato prorogato l’obbligo vaccinale fino a fine anno sia per noi professionisti sia per il personale amministrativo/laico, come ha ribadito alla Camera il Ministro Speranza. La proroga ha riacceso il malessere fra i Colleghi che non sono mai stati favorevoli alla vaccinazione obbligatoria. Desideriamo dare spazio alle loro riflessioni e qui vorrei aggiungere la mia e del Consiglio Direttivo ANMVI, riassumendola in due punti:

1) l’ANMVI resta dell’idea iniziale che i Medici Veterinari debbano vaccinarsi contro SARS Cov-2;
2) l’approccio impositivo dell’obbligo è criticabile, specie adesso che il Governo sta allentando le restrizioni.

Sul primo punto, ANMVI si attiene alle valutazioni della comunità scientifica veterinaria nazionale (università, zooprofilattici, Iss, ecc.) e internazionale (Oie, Ema, ecc.) dalle quali non sono arrivate controindicazioni di ordine scientifico sui vaccini. La sfida posta da questo virus responsabile di una zoonosi emergente deve farci sentire più responsabilizzati di chiunque altro alla profilassi. Infatti, gestiamo professionalmente e direttamente specie sensibili al virus SARS Cov-2, un coronavirus ancora poco conosciuto e che allunga ogni giorno l’elenco delle specie che si possono positivizzare, rappresentando dei potenziali serbatoi, senza dimenticare che ci sono anche due spill - over da indagare, dai visoni e dai criceti. Anche chi fra noi non ha direttamente a che fare con la cura degli animali, oppure non entra nei macelli né negli allevamenti, dovrebbe approcciare il tema della prevenzione in modo diverso dall’opinione pubblica.

Vorrei anche dedicare queste righe ai Colleghi che nel primo anno di pandemia sono mancati in un momento in cui eravamo ancora privi di protezioni vaccinali, e a tutti quelli che hanno esercitato in contesti di rischio.

È necessario quindi fare appello alle nostre competenze, senz’altro superiori a quelle in dotazione al senso comune, in quanto laureati e abilitati alla professione di Medico Veterinario, in grado di  approcciare professionalmente temi di prevenzione, di virologia, di malattie trasmissibili, farmacologia e ricerca scientifica. Pensiamo solamente all’esperienza di profilassi vaccinale che abbiamo nel campo della farmacologia e dell’epidemio-sorveglianza veterinaria. Quel paradigma è stato trasposto sulla pandemia da Covid-19, trascurando però gli esperti veterinari tanto che molti colleghi di sanità pubblica hanno lamentato, a ragione, di non essere mai entrati nella cabina di regia della gestione pandemica. Questo si collega ad una consapevolezza del nostro status di professionisti della salute al quale non dovremmo appartenere ad intermittenza o secondo convenienza. In quanto professione sanitaria, siamo stati riconosciuti come “essenziali” senza distinzione di settore e di esercizio, e come tali abbiamo continuato ad esercitare mentre tutto il resto del Paese era fermo. Nei confronti della nostra utenza e dei nostri stessi Colleghi e collaboratori abbiamo il dovere di abbattere ogni possibile situazione di rischio di diffusione e di contagio da SARS Cov-2 (come di qualunque altro pericolo biologico). Sono condivisibili alcuni passaggi del Consiglio di Stato che hanno spiegato il razionale dell’obbligo vaccinale a mio parere meglio del Governo e del nostro Ministero: nessuna professione e nessun ambiente di cura e di prevenzione deve contenere al proprio interno rischi di infezione non gestiti. È un paradosso che proprio i sanitari, qualsiasi sia il settore in cui esercitano, possano rappresentare un rischio di esposizione al contagio da un virus pandemico. Non a caso si dice che i medici curano gli uomini, mentre la veterinaria cura l’umanità.

E veniamo alle note dolenti del secondo punto: la gestione dell’obbligo impositivo, delle sospensioni e delle sanzioni. Vanno criticati procedimenti complicati e incomprensibili (penso ad esempio alla recente norma per i casi di guarigione senza vaccinazione) e un approccio di fondo che non è stato del tutto fedele al concetto di prevenzione del contagio. In alcuni casi sono stati i Tribunali a dire che in circostanze di telelavoro o di ansioni senza contatti diretti con altre persone o con gli animali, la sospensione andava oltre la finalità di non contagiare, ma assumeva una malcelata risposta disciplinare. Da ultimo, ci sono Colleghi over 50 che - se non vaccinati - si vedranno anche assoggettati alle sanzioni amministrative.

Cessato lo stato di emergenza, auspico che il Ministero della Salute riunisca le professioni sanitarie, ne riconosca le diverse caratteristiche, faccia insomma una valutazione del rischio, situazione per situazione, e assuma quell’atteggiamento di confronto e di ascolto che in piena emergenza non ha avuto. Personalmente continuerò a vaccinarmi e penso che tutti i Colleghi farebbero bene a fare altrettanto.

Ma sono anche convinto che sia il momento di verificare se abbia ancora senso l’attuale gestione dell’obbligo vaccinale e che lo si debba fare come la Veterinaria insegna: sulla base di una valutazione del rischio aggiornata.