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COVID-19 IN USA E UE

Covid-19, sbagliato parlare di focolai nei macelli

Covid-19, sbagliato parlare di focolai nei macelli
"Non ci sono focolai nei macelli, tanto meno in Italia". Dopo i casi negli USA in alcuni Paesi europei, il Presidente della FVM analizza il ruolo degli addetti e i fattori di rischio.

La stampa internazionale si è molto occupata dei casi di Covid-19 tra gli addetti alla macellazione, in alcuni impianti  negli USA e in Europa. In Italia, dopo un caso in provincia di Bari, se ne è occupata anche la stampa nazionale.  Il Fatto Alimentare e Il Salvagente hanno interpellato Aldo Grasselli, Presidente della FVM e Segretario Nazionale del Sindacato dei Veterinari Pubblici.

"Non parlerei di un ‘caso macelli’ tantomeno in Italia - ha spiegato- dove si è registrato un solo caso in provincia di Bari tra gli addetti alla lavorazione". Per una corretta indagine epidemiologica, bisogna fare una distinzione fra il macello, dove si applicano già particolari prassi e protezioni igienico-sanitarie, e il contesto socio-sanitario in cui vivono gli addetti contagiati.

"Negli ambienti di macellazione o sezionamento delle carni si fa largo uso di acqua per lavare e pulire al fine di tenere sotto controllo la flora batterica che si concentra in quegli ambienti o particolarmente insalubri per la presenza di feci e sangue animale e conseguentemente l’elevata umidità e il maggior tenore di vapore possono aver aumentato la diffusione del virus da un soggetto asintomatico o paucisintomatico mediante “droplet”- spiega Grasselli- Non dimentichiamo però che i lavoratori degli stabilimenti di macellazione devono essere muniti di protezioni anti infortunistiche e di mascherine e visiere per proteggere dall’aspirazione di patogeni". Condizione di igiene e di protezione che la Germania (300 positivi in un solo stabilimento) si appresta ad adeguare al rischio.

Le positività, specialmente degli Stati Uniti ma anche della Germania, vengono messi in relazione alle condizioni socio-abitative di lavoratori spesso immigrati, "scarsamente protetti dal punto di vista contrattuale e sindacale, spesso reclutati da sedicenti “cooperative” che mascherano forme di caporalato e che assicura bassi salari"- fa notare Grasselli. "Questi lavoratori, quindi, come molti altri della filiera agricolo-zootecnico-alimentare, sono lavoratori poveri, che vivono in case umili o addirittura in baracche fatiscenti, spesso sovraffollate, ove la promiscuità concorre a favorire la diffusione di patologie infettive e contagiose, massimamente se altamente contagiose come il Covid-19".


"Questo, ancora una volta ci fa capire l’importanza dell’art. 32 della nostra Costituzione repubblicana che identifica come unico “diritto fondamentale” quello alla salute, individuale e collettiva, degli italiani e di ogni persona presente sul nostro suolo nazionale. Perché se sono sani gli ultimi lo sono con maggiore sicurezza anche i primi"- conclude Grasselli.