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DEMOGRAFIA FVE

Italian vets: i più numerosi e insoddisfatti d'Europa

Italian vets: i più numerosi e insoddisfatti d'Europa
Con i suoi 30.100 Veterinari, l'Italia è al secondo posto nella demografia europea. La FVE mette a disposizione il primo survey sulla condizione professionale della veterinaria europea. Pregio dell'indagine è il confronto con la situazione negli altri Paesi. Scenario nazionale da economia emergente senza averne l'entusiasmo.
Si sa già tutto sulla condizione professionale italiana, ma è il confronto con i 233.300 Colleghi europei a fornire nuove riflessioni sulla Veterinaria nel Terzo Millennio. L'indagine della FVE "Survey of the Veterinary Profession in Europe - ora disponibile gratuitamente in forma integrale- pemette di rapportare i dati della Veterinaria nazionale con quelli di altri 37 Paesi (l'Europa della FVE include un numero di Paesi superiore a quelli dell'Unione Europea). I dati nazionali provengono dalle rispettive rappresentanze in FVE, i dati di fonte italiana sono stati forniti dalla Fnovi.

Tolta l'Ucraina che svetta con i suoi 38.400 veterinari, l'Italia batte tutti i Paesi a 5 cifre: la Germania (26.800 Veterinari), la Spagna (22.400), il Regno Unito (20.800) e la Francia (17.000). Ma non è il solo handicap: scarsa imprenditorialità, nessuna propensione alla mobilità internazionale, tendenza all'esercizio individuale, poca gratificazione e pessimismo caratterizzano in negativo la professione italiana. A questi si sommano difetti comuni a tutti i veterinari europei, primo fra tutti la scarsa familiarità con le IT (Information Technology).

La maggioranza dei veterinari italiani  ha un'età compresa fra i 50 e i 59 anni (dieci anni in più della maggioranza europea) ed esercita a tempo pieno nel settore libero professionale degli animali da compagnia. La parità demografica di genere è pressochè raggiunta, la consistenza della popolazione umana e animale non giustifica il numero di professionisti abilitati, i settori professionali di riferimento non muovono risorse a favore di una redditività ancora incentrata su prestazioni tradizionali ('trattamenti' e 'chirurgie') rispetto ad attività accessorie (vendita di medicinali e prodotti).

Il reddito medio annuale (23.400 euro) è significativamente più basso di quello registrato dai Paesi a maggiore vocazione imprenditoriale, dove è più sviluppato l'esercizio professionale in forma aggregata anzichè monotitolare. Fa eccezione il reddito dei Veterinari dipendenti italiani, che con la Svizzera, è il più alto d'Europa. Dopo la Serbia è l'Italia a registrare il tempo più lungo (più di due anni) di inattività prima dell'avvio professionale. Anche se fanno meno giorni di vacanza dei Colleghi nordici, la settimana lavorativa dei veterinari italiani non raggiunge le 50 ore di media, un dato proporzionale alla diffusione di polizze assicurative per responsabilità professionale.

Il grado di sviluppo professionale della Veterinaria italiana è più simile a quello di una economia emergente che di un Paese avanzato. Ma delle economie emergenti non ha la mobilità (internazionalizzazione) individuando nella mancanza di abilità linguistiche sufficienti il principale ostacolo per un lavoro all'estero. E dei Paesi emergenti l'Italia non ha nemmeno l'entusiasmo, anzi si distingue per pessimismo circa le possibilità di miglioramento economico. La veterinaria italiana è all'ultimo posto per autostima e prestigio pubblico: i Veterinari italiani si sentono meno considerati di tutti gli altri Colleghi Europei; la percezione migliora, anche se di poco, in rapporto alla considerazione che i Veterinari italiani percepiscono presso i loro clienti. Ciò malgrado si confermino fra i Veterinari europei che dedicano il maggior numero di ore all'aggiornamento professionale.

I Veterinari italiani sono fra i più critici nei confronti della qualità della formazione universitaria, giudicata inadeguata e responsabile di immettere sul mercato nuovi Veterinari privi della necessaria preparazione
Le specializzazioni professionali sono considerate il rimedio prioritario per rilanciare lo sviluppo professionale insieme al rilancio del business. I veterinari italiani sono fra quelli che mostrano meno fiducia nella legislazione e nella possibilità che proprio da nuove normative professionali possa derivare un aiuto alle difficoltà. Il settore che si ritiene abbia le maggiori potenzialità di sviluppo occupazionale è quello del benessere animale.

Sui social (Facebook, Twitter, Linkedin) i veterinari italiani sono ancora poco presenti con finalità professionali, un dato condiviso dalla maggior parte dei veterinari europei eccezion fatta per Portogallo, Danimarca, Paesi Bassi, Spagna e Bulgaria dove è maggiore l'uso professionale di social, soprattutto di Facebook. Generalmente scarsa - fra tutti i Veterinari europei- è la propensione a sviluppare le Information Technology a scopo di reddito (sviluppo di tecniche on line), un dato che la FVE si propone di approfondire per comprendere se dipenda da un ritardo di conoscenza fra i professionisti o da una domanda di mercato ancora debole.

L'indagine è stata oggetto di uno workshop europeo le cui conclusioni sono state pubblicate nel novembre scorso dalla Fnovi.

pdfFVE_SURVEY_EDIZIONE_INTEGRALE_EN_PRIMA_PARTE.pdf3.98 MB
pdfFVE_SURVEY_EDIZIONE_INTEGRALE_EN_SECONDA_PARTE.pdf1.6 MB
pdfDATI_DI_SINTESI.pdf601.93 KB