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PARERE PRO-VERITATE

Dieta vegana ai carnivori. E' maltrattamento?

Dieta vegana ai carnivori. E' maltrattamento?
Il caso del gatto salvato in extremis da una veterinaria australiana, a causa di una dieta esclusivamente vegana, ha fatto discutere anche i medici veterinari italiani. Può configurarsi il reato di maltrattamento? Sollecitato da alcune richieste, l'ufficio legale dell'ANMVI ha prodotto un parere pro-veritate.
Può essere maltrattamento imporre una dieta vegana a cani e gatti? Sì, può esserlo. La conferma in un parere pro-veritate dei legali dell'ANMVI sulla configurabilità del reato previsto dall'art. 544ter del Codice Penale. Dopo il caso australiano e i dubbi sollevati da alcuni medici veterinari, l'Associazione si è rivolta agli Avv. Luigi Camurri e Elena Guerreschi.

Nel parere- pubblicato integralmente dal settimanale Professione Veterinaria - si premette  che per quanto riguarda l'alimentazione vegana, "non si può ovviamente prescindere dai dati scientifici: è necessaria, infatti, la puntuale dimostrazione che nutrire un cane o un gatto con sostanze di origine esclusivamente vegetale sia del tutto contrario all'etogramma dell'animale". Ma d'altra parte, "sembrerebbe un dato piuttosto scontato, in quanto il gatto è carnivoro ed il cane è per sua natura carnivoro, pur se considerato ormai onnivoro in ragione del secolare addomesticamento da parte dell'uomo".

Va senza dubbio "rimarcata l'importanza delle rilevanze scientifiche al fine di poter correttamente inquadrare la condotta di coloro che, volontariamente e pur nella convinzione della correttezza del proprio agire (dunque senza crudeltà) decidessero di fornire al proprio animale carnivoro domestico (cane o gatto) un'alimentazione vegana".
Ma "se il dato scientifico dell'incompatibilità fra tale dieta e le caratteristiche etologiche dell'animale venisse confermato, potremmo ipotizzare la sussistenza del reato di maltrattamento così come configurato dall'art.544ter del codice penale".

Infatti, affinché sia configurabile tale fattispecie di reato, "la giurisprudenza non richiede che la condotta sia tenuta per crudeltà o nell'assenza di necessità, ma solo che sia volontaria. Non è neppure necessario che l'animale subisca un danno vero e proprio ma è sufficiente che il comportamento imposto risulti incompatibile con l'etogramma della sua specie e che, quindi, il cane o il gatto sia costretto a sviluppare abitudini contrarie alla propria natura. Ed infine, nel caso più grave in cui questo tipo di alimentazione dovesse generare un deperimento fisico e psicologico dell'animale con insorgenza di patologie, tale condotta potrebbe essere sussunta nella fattispecie descritta dal secondo comma ovvero come un trattamento che cagiona un danno alla salute dell'animale".

Il parere integrale su Professione Veterinaria 32/2013