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ALLA CAMERA

Pro ricercatori italiani: prima pdl dell'On Ilaria Capua

Pro ricercatori italiani: prima pdl dell'On Ilaria Capua
E' dedicata ai ricercatori italiani la prima pdl di Ilaria Capua. Misure ad hoc anche per i cervelli che non possono fuggire.
"Oggi una grande parte della ricerca svolta nelle università e negli enti pubblici di ricerca nazionali italiani non è finanziata a valere sui fondi statali ordinari (il fondo di finanziamento ordinario per l'università e Fondo per gli enti di ricerca), ma su fondi che i ricercatori ottengono su base concorrenziale sia dallo Stato sia da vari enti regionali e locali, da soggetti pubblici e privati italiani, dell'Unione europea e internazionali, a seguito della presentazione di progetti di ricerca ben definiti. Questo tipo di finanziamento è particolarmente virtuoso, perché premia il merito e aiuta a finanziare la ricerca sopperendo alla contrazione del contributo statale per la ricerca".

Ilaria Capua, veterinaria parlamentare in Commissione Cultura alla Camera, presenta così la prima proposta di legge che porta la sua firma. " Tale prassi- spiega nella relazione che accompagna l'articolato-  è molto sviluppata anche all'estero, particolarmente nei Paesi più competitivi dal punto di vista dei risultati della ricerca. L'Unione europea già da molti anni mette a disposizione risorse che possono essere ottenute attraverso progetti presentati da gruppi di ricerca organizzati in «cordate» che competono con altre per ottenere il finanziamento".

"Queste ricerche - aggiunge- vengono quasi sempre realizzate da ricercatori a tempo determinato, che spesso rappresentano la professionalità chiave per attirare i fondi poi utilizzati per retribuirli. In questo senso, non si tratta di precari, ma di ricercatori finanziariamente indipendenti, così come il gruppo stesso in cui lavorano questi professionisti della ricerca può essere definito un gruppo di ricerca indipendente, perché non è finanziato esclusivamente dall'ente presso il quale opera".

La proposta di legge- in sei articoli-  "tende a rimuovere alcuni limiti previsti dalla vigente legislazione che risultano eccessivamente rigidi, in materia di utilizzo di strumenti di finanziamento di attività di ricerca, avvicinando il sistema italiano a quello degli altri Paesi europei".

La legge italiana, spiega la deputata, "contiene alcune incongruenze, come il tentativo di mutuare da altri ordinamenti il meccanismo della cosiddetta tenure track senza tenere conto del diverso contesto ordinamentale, culturale ed economico italiano. Come è noto, questo sistema consente di reclutare il ricercatore a tempo determinato con la prospettiva, per coloro che lo meritano, di consolidare il rapporto di lavoro dopo un certo periodo, a seguito di risultati positivi delle attività svolte, in presenza dell'esigenza del sistema di mantenere la specifica professionalità e delle risorse finanziarie necessarie a regime. Un meccanismo che presuppone una politica solida di investimenti e una chiara programmazione.

In Italia una programmazione di sviluppo delle risorse umane nel contesto universitario e degli enti di ricerca "è un obbiettivo di medio-lungo termine - aggiunge- e, considerati gli scenari di crisi e le misure che colpiscono sistematicamente anche il sistema dell'università e della ricerca, per salvaguardare il capitale umano esistente e spingerlo verso una sana competizione è necessario introdurre elementi di flessibilità. Non intervenire oggi può comportare una perdita di competenze con uno spreco o «fuga di cervelli» ingiustificabile e probabilmente irreversibile".

La proposta vorrebbe in qualche modo offrire nuove opportunità a chi non ha la possibilità (per l'età o per motivi familiari o finanziari) di spostarsi in laboratori all'estero, salvaguardando l'investimento fatto dal sistema Italia nella loro formazione e professionalizzazione. "Negli anni passati eravamo abituati a parlare della debolezza del sistema italiano in termini di «fuga di cervelli» (brain drain), fenomeno critico non di per sé, ma per la mancanza di una corrispondente attrattività del nostro Paese ai fini del cosiddetto brain exchange. Era ed è questo il punto maggiore di debolezza rispetto ai Paesi sviluppati, dove i flussi multidirezionali dei ricercatori verso le aree dove le singole specializzazioni offrono le maggiori opportunità costituisce un'importante opportunità di crescita. Ma oggi emerge un fenomeno per molti versi più aberrante e pericoloso: il passaggio dal brain drain al brain waste, dalla fuga dei cervelli ai cervelli sprecati. Una sottoutilizzazione di dimensioni abnormi di un capitale umano che non ha nemmeno più la valvola di sfogo delle migrazioni".