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MALTRATTAMENTO ANIMALE

In frigo con le chele legate, la Cassazione condanna

In frigo con le chele legate, la Cassazione condanna
Crostacei tutelati al pari degli animali d'affezione: è diffusa "una certa sensibilità nei loro confronti". Segnando un nuovo orientamento nella giurisprudenza, la Cassazione conferma la condanna per maltrattamento animale a carico del direttore di un ristorante.  Il fatto che siano animali destinati alla pentola non ne modifica le tutele.

Il Tribunale di Firenze l'aveva già condannato nel 2014 e ora la Cassazione- con la sentenza depositata il 16 giugno scorso- conferma la condanna: ammenda di 5 mila euro e risarcimento alla parte civile LAV per avere violato il comma 2 dell'articolo 727 del Codice Penale. Infatti, "in attesa che venissero cucinati", il direttore aveva "detenuto alcuni crostacei vivi in cella frigorifera e con le chele legate, pertanto in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze".

Respinto il ricorso del ristoratore- Il ricorso in Cassazione da parte del ristoratore è stato giudicato "manifestamente infondato" dalla Terza sezione penale della Corte. L'imputato ristoratore è stato condannato a rifondere le spese del giudizio e a risarcire per 3 mila euro la parte civile, LAV, in quanto "ente esponenziale che cura gli interessi degli animali".

La Cassazione si è richiamata a sentenze su casi di maltrattamento in animali d'affezione e "nonostante solo negli ultimi anni diverse ricerche abbiamo portato una parte della comunità scientifica a ritenere che i crostacei siano esseri senzienti in grado di provare dolore e- "pur in assenza di precedenti giurisprudenziali specifici in materia"- la sentenza del Tribunale di Firenze, per la Cassazione, resta "immune da censure".

Il giudice fiorentino, infatti, accertava che "l'imputato conservava i crostacei in frigorifero, a temperature prossime allo zero". Al contrario, questi animali vivono in acque a temperature alte e vengono tenuti in acquari a temperatura ed ossigenati "non solo nei ristoranti più importanti ma anche nei supermercati della grande distribuzione". Il Giudice di Firenze ha quindi osservato che "era già diffusa una certa sensibilità nella comunità", tale da indurre all'adozione di "accorgimenti più complessi ed economicamente più gravosi", che però consentono di tenere i crostacei "in modo più consono alle loro caratteristiche naturali". Il Tribunale fiorentino ha anche fatto riferimento alla letterarura scientifica prodotta dalla parte civile, "sebbene abbia concluso che "anche il buon senso induceva a ritenere che i crostacei erano stati tenuti dal ristoratore in condizioni contrarie alle loro caratteristiche etologiche, incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze".

"Arrivano in Italia sul ghiaccio e legati"- A sua discolpa, il ristoratore faceva valere la tesi che "i crostacei vengono consegnati in casse di polistirolo, adagiati sul ghiaccio con le chele legate e che il trasporto dall'America in tali condizioni non è in alcun modo sanzionato e proibito da alcun tipo di norma italiana, tanto è vero dche i crostacei giungono presso i supermercati, i rivenditori e i ristoratori con il beneplacito di tutte le autorità sanitarie e giudiziarie preposte ai controlli di legge". Il ristoratore precisava inoltre di ricevere i crostacei nella stessa giornata in cui vengono cucinati e di non fare "altro che mantenerli nelle stesse condizioni in cui si trovano da giorni".
Argomentava anche che "non c'è prova che togliere il crostaceo dal ghiaccio per tuffarlo in acqua calda e poi, dopo poche ore, prelevarlo per tuffarlo in acqua bollente non soffra o soffra meno; è notorio, invece che l'animale, tenuto a basse temperature e destinato ad essere cucinato, viva le ultime sue ore in uno stato di torpore e anestesia che  annulla la sensazione di dolore".

Crudeltà e indifferenza? Su esposto di un privato, il Comando di Polizia informava i dipendenti del ristorante delle condizioni dei crostacei, che ciononostante ad un successivo controllo risultavano in frigorifero vivi (un astice e un granchio) e con le chele legate.  Il ristoratore respingeva a suo carico, in quanto "incongrua" l'incolpazione di crudeltà e di indifferenza nei confronti di un crostaceo che entro poche ore "è destinato a finire in pentola". La Cassazione non ha accolto l'obiezione.

La consuetudine sociale di cucinare i crostacei vivi- Per la Cassazione, il Tribunale ha correttamente osservato che la consuetudine sociale di cucinare i crostacei quando siano ancora vivi "non esclude che le modalità di detenzione degli animali possano costituire maltrattamenti, perchè mentre la particolarità del modo di cottura può essere considerata lecita proprio in forza del riconoscimento dell'uso comune, le sofferenze causate dalla detenzione degli animali in attesa di essere cucinati non possono essere parimenti giustificate". Per la Corte, la non sofferenza degli animali "soccombe nel bilanciamento con altri interessi umani della più varia natura e legittimati dalla presenza di leggi". Al contrario, "non può essere considerata come una consuetudine socialmente apprezzata quella di detenere siffatta specie di animali a temperature così rigide". Gli operatori economici, si legge in sentenza, " generalmente usano sistemi più costosi nella detenzione dei crostacei più rispettosi degli animali".
D'altra parte- è sempre la Cassazione a dirlo- il codice penale tutela "il sentimento per gli animali" cioè salvaguarda "la diffusa sensibilità dell'uomo verso la sofferenza degli animali". Animali d'affezione o crostacei che siano.

I pareri scientifici- Il ristoratore lamentava che il Tribunale di Firenze avrebbe compito una serie di "affermazioni apodittiche, giungendo alla pronuncia di responsabilità sulla base di pareri non meglio specificati di medici veterinari prodotti dalla parte civile". La LAV sviluppava una serie di argomenti tratti da un parere del Centro nazionale di referenza sul benessere animale dell'IZS di Brescia, sostenendo che "il posizionamento degli animali sul ghiaccio anche se avvolti in sacchetti a tenuta, sia assolutamente inappropriato tanto come metodo anestetico che come metodo di stoccaggio, poichè il contatto diretto con il ghiaccio determina asimmetria della perfrigerazione, sbalzo improvviso di temperatura, shock iposomotico da acqua di scioglimento o da condensa, ipossia e stress anaerobico".


La massima della Cassazione- Nessuna delle tesi del ricorrente è stata accolta dalla Cassazione che ha pronunciato la seguente massima: "Al pari della tutela apprestata nei confronti degli animali di affezione, integra il reato ritenuto in sentenza la detenzione dei crostacei secondo modalità per loro produttive di gravi sofferenze e, per altro, adottate per ragioni di contenimento di spesa, con la conseguenza che, nel bilanciamento tra interesse economico e interesse (umano) alla non sofferenza dell'animale, è quest'ultimo che, in tal caso, deve ritenersi prevalente e quindi penalmente tutelato, in assenza di norme o di usi riconosciuti in senso diverso"