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DEIEZIONI

Dalla Cassazione una lezione ai proprietari

Dalla Cassazione una lezione ai proprietari
Senza emettere una sentenza di condanna, la Cassazione ha dettato le regole di comportamento che i proprietari devono tenere quando portano a spasso il cane. Le deiezioni sono un rischio da gestire con "educazione e civiltà", ma anche una esigenza che non sempre si può inibire: è vicino il confine tra controllo e maltrattamento.
Non c'è reato di imbrattamento se il cane durante la passeggiata fa pipì sul muro di un edificio di pregio storico-architettonico. La Corte di Cassazione ha chiuso dopo cinque anni un contenzioso fra il proprietario di un cane e il proprietario di un immobile di riconosciuto valore artistico. Per la sussistenza del reato perseguibile ai sensi dell'articolo 639 del Codice Penale deve configurarsi il dolo, anche solo generico, che nel caso in questione non c'era.  Con la sentenza n. 7082/2015,  la Corte di Cassazione ha preso atto che, dopo che il cane aveva orinato, il suo padrone si era preoccupato di ripulire la pare di muro imbrattata versandovi dell'acqua, circostanza incompatibile con la volontà di macchiare l'edificio. A ciò va aggiunto che "è del tutto inverosimile che il proprietario abbia indotto il suo animale a sporcare il muro con l'urina in quanto da un lato è emerso che pacificametne che l'imputato aveva con sè una bottiglietta e ha usato il liquido ivi contenuto per pulire il muro e inoltre viene in considerazione un istinto fisiologico del cane che il suo padrone non avrebbe potuto orientare". Senza contare che il muro "era già piuttosto malandato". Non c'era"alcuna ragione per ritenere che l'imputato abbia volutamente fatto orinare il proprio cane sull'immobile di proprietà".

Un fenomeno che è parte della realtà quotidiana- Tuttavia la Cassazione si addentra in "un doveroso quanto accurato esame", che "coinvolge interessi diffusi nella vita quotidiana nella quale si contrappongono i diritti e gli interessi di milioni di persone divisi tra la legittima tutela dei beni di proprietà e la posizione di chi accompagna animali da compagnia sulla pubblica via". Si tratta di "rapporti che si inseriscono in un più ampio quadro di convivenza, di rispetto civile, di tolleranza, ma anche di malcostume di fronte ad un fenomeno che non può essere sottaciuto in quanto parte della realtà quotidiana, soprattutto nei grandi agglomerati urbani". La Corte dichiara che "l'unica limitata sfera di azione che compete a chi è chiamato a condurre sulla pubblica via detti animali è quella di agire al fine di ridurre il più possibile il rischio che questi possano lordare i beni di proprietà di terzi quali- come è tipicamente il caso- i muri di affaccio degli stabili e i mezzi di locomozione ivi parcheggiati".

E' una questione di civiltà e di educazione- A questi principi devono essere in generale caratterizzate le condotte di chiunque interagisca con terzi e conviva con essi in società. La possibilità che un cane condotto sulla pubblica via possa quindi imbrattare i beni di proprietà di terzi è frutto di un rischio certamente prevedibile ma non altrimenti evitabile, non essendo ipotizzabile che l'animale sia costretto ad espletare i propri bisogni fisiologici all'interno di luoghi di privata dimora (o comunque di ambienti chiusi)".
Ciò che si può quindi richiedere a chi è necessitato a condurre un cane sulla pubblica via "è solo un corretto governo di tale (inevitabile) rischio, governo realizzabile, ad esempio, attraverso la possibilità di una attenta vigilanza sul comportamenti dell'animale, attraverso la possibilità di limitarne la totale libertà di movimento (se del caso tenendolo legandolo con un guinzaglio) o comunque intervenendo con atteggiamenti tali da farlo desistere - quantomeno nell'immediatezza - dall'azione".

Malgoverno del rischio- Quanto accaduto può quindi esserti qualificato come attività di malgoverno del rischio stesso dipendente da disattenzione, sciatteria o più semplicemente da imperizia nella conduzione dell'animale, situazioni comunque riconducibili alla sfera della colpa ma non certo del dolo (neppure nella forma del dolo eventuale). Il fatto che il proprietario avesse con se una bottiglietta d'acqua al fine di ripulire nell'immediatezza la parte di muro lordata con l'urina del cane "denota una attenzione del conduttore dell'animale che purtroppo non è altrettanto diffusa come la buona educazione ed il rispetto di terzi imporrebbero".

Al confine con il maltrattamento - Rileva la Cassazione che è un dato di comune esperienza che il condurre un cane sulla pubblica via apra la concreta possibilità che l'animale possa imbrattare con l'urina o con le feci beni di proprietà- pubblica o privata: ci troviamo quindi certamente di fronte ad una indubbia probabilità dell'evento che quisque de populo non può non rappresentarsi e che certamente anche l'odierno imputato non poteva non essersi rappresentato accettandone quindi la situazione di rischio";
"E' pero anche un dato di comune esperienza che, per quanto l'animale possa essere stato bene educato, il momento in cui lo stesso decide di espletare i propri bisogni fisiologici è talvolta difficilmente prevedibile trattandosi di un istinto non altrimenti orientabile e, comunque, non altrimenti sopprimibile mediante il compimento di azioni verso l'animale che si porrebbero al confine del maltrattamento nei confronti dello stesso".

Il ruolo delle Autorità Locali-
"Infine è un dato di comune esperienza che i cani non esplicano i propri bisogni fisiologici all'interno degli appartamenti o degli altri luoghi chiusi di privata dimora, con la conseguenza che i possessori dei predetti animali che risiedono in agglomerati urbani si vedono necessitati a condurli sulla pubblica via con tali finalità: non sempre le Autorità locali sono in grado di predisporre luoghi appositi ove detti animali possano espletare i loro bisogni fisiologici e comunque non può essere escluso che gli animali decidano (con tempi e modalità che, come detto, non è possibile inibire) di espletare tali bisogni altrove o prima del raggiungimento del luoghi a ciò deputati".