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CASSAZIONE

Se il cane morde l'amico dopo una carezza

Se il cane morde l'amico dopo una carezza
Per la Cassazione Civile non si può escludere la responsabilità del proprietario per il solo fatto che la vittima conosceva bene il cane morsicatore. La relazione fra proprietario e animale presuppone sempre la responsabilità della custodia e della sorveglianza. Risarcimento di circa 50 mila euro per il danno biologico alla mano offesa.

Lesioni alla mano destra, quantificate in 48mila e seicento euro di danno biologico. A procurarle era stato il pastore tedesco del padrone di casa ai danni dell'amico in visita. Il cane sarebbe stato "irritato colposamente", secondo il primo giudice che non accoglieva l'istanza di risarcimento, malgrado la rimostranza della vittima che ribadiva di conoscere il cane fin da piccolo, dunque di non essere un fastidioso estraneo. Il Tribunale sosteneva comunque che la sua presenza, anche non era un perfetto sconosciuto, unita al tentativo di accarezzare l'animale sul dorso avessero provocato la reazione dell'animale.
Dal canto suo, il proprietario andava adducendo il "caso fortuito".

Di ben diverso avviso la Cassazione Civile alla quale si è rivolta la vittima ottenendo soddisfazione e risarcimento. Con sentenza del 20 maggio scorso, la Suprema Corte  ha ritenuto il padrone del cane responsabile per il morso del cane all’amico di famiglia ai sensi dell’articolo 2052 del Codice Civile (Danno cagionato da animali). La responsabilità del proprietario- si legge in sentenza- si fonda non su un comportamento o un’attività commissiva/omissiva  "ma su una relazione" con l'animale, che può essere di proprietà o di uso, ma sempre "fondante la custodia e la sorveglianza".

Quanto al caso fortuito, occorre guardare alle modalità di causazione del danno: il caso fortuito deve essere riconducibile ad un elemento esterno e non all'animale. Non si può quindi pensare che abbia indispettito l’animale tentando di accarezzarlo perché non era persona sconosciuta. E in ogni caso, è il ricorrente che deve provare l’esistenza del rapporto eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento dannoso. Se la prova liberatoria - che per essere tale deve essere definita idonea a cagionare il danno avendo quindi i caratteri dell’imprevedibilità, dell’inevitabilità e dell’assoluta eccezionalità - non viene fornita, del danno risponde il proprietario.

La massima - Del danno cagionato da animale risponde ai sensi dell' art. 2052 Cc il proprietario o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, in quanto la responsabilità si fonda non su un comportamento o un'attività commissiva o omissiva di costoro, ma su una relazione (di proprietà o di uso, fondante la custodia e la sorveglianza) intercorrente tra i predetti e l'animale, e poiché il limite della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore ("salvo che provi il caso fortuito") che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno, la rilevanza del fortuito deve essere apprezzata sotto il profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre ad un elemento esterno, anziché all'animale che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi.
Sentenza 10402, sezione Terza Civile, del 20-05-2016 - C.c. art. 2052