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CASSAZIONE

Canili sovraffollati. Benessere animale o profitto?

Canili sovraffollati. Benessere animale o profitto?
Animali in numero quattro volte superiore a limite indicato per il canile rifugio e per il canile sanitario. La Cassazione conferma la bontà del sequestro preventivo. Più che una emergenza-randagismo, la Corte ha ravvisato "una scelta imprenditoriale diretta a sacrificare il benessere degli animali alle logiche del profitto".

"È confermato il sequestro preventivo della struttura dalle dimensioni ridotte per poter accogliere gli animali". Con una  sentenza depositata il 16 settembre, la Cassazione ha ribadito che il reato penale ex articolo 727  si configura se le condizioni di custodia provocano sofferenza anche senza pregiudizio all'integrità fisica: ai fini del fumus basta il sovraffollamento della struttura. La Corte ha così respinto il ricorso dei proprietari di due strutture, dedicate all'accoglienza di cani, in territorio pugliese.


Già il Tribunale di Brindisi nel novembre del 2013 aveva motivato il sequestro preventivo con il sovraffollamento: 693 cani in un rifugio che ne poteva ospitare al massimo 200 e 194 nel canile sanitario strutturato per accoglierne al massimo 20. Il Tribunale brindisino rilevava le seguenti violazioni: "numero di cani per ogni box superiore di gran lunga al numero prescritto in entrambi i reparti; superficie a disposizione di ogni animale notevolmente inferiore rispetto a quella minima di mq 6 (mq 4 per il canile sanitario) prescritta; assenza nel canile sanitario e nel canile rifugio di un reparto di isolamento".

I ricorrenti, chiedendo il dissequestro cautelare disposto dal Gip, avevano sostenuto, senza poi ottenere soddisfazione in Cassazione, che non c'è stata violazione dell'articolo 727 del Codice Penale, che l'aver detenuto animali in condizioni incompatibili con la loro natura esclusivamente basandosi sul sovraffollamento fosse un errore del Tribunale, un errore legato "non già a considerazioni obiettive e materiali ma al semplice dato formale del superamento della soglia massima di animali detenibili prevista dalla legge della Regione Puglia n. 26 del 2006". Insomma, una interpretazione "illegittima" secondo i ricorrenti: il Tribunale vede un reato che al di fuori del territorio pugliese non sarebbe penalmente rilevante, "avendo soltanto la regione Puglia indicato tale soglia massima di cani, al di là della grandezza e delle risorse della struttura ospitante".

Ma, la Cassazione ha osservato che il Tribunale stesso aveva espressamente chiarito che non si obietta nulla dal punto di vista igienico- sanitario dei luoghi e nemmeno rispetto alla cura con cui gli animali sono stati seguiti da un punto di vista clinico e nutrizionale ". Il punto è infatti un altro. La «fattispecie contravvenzionale» di cui all'articolo 727 Cp, con particolare riferimento all'ipotesi della detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, è stata interpretata dalla Cassazione, nel senso che «le condizioni in cui vengono custoditi gli animali non sono dettate da particolari esigenze e risultino tali da provocare negli stessi uno stato di grave sofferenza, indipendentemente dal fatto che in conseguenza di tali condizioni di custodia l'animale possa subire vere e proprie lesioni dell'integrità fisica».

Dalla presenza nella struttura sequestrata di animali in sovrannumero, in misura quattro volte superiore a limite indicato, la Cassazione rileva come "non apparisse il portato della emergenza randagismo sul territorio, come pure la difesa aveva prospettato, quanto piuttosto una scelta imprenditoriale diretta a sacrificare il benessere degli animali alle logiche del profitto, essendo risultato che anzichè adoperarsi per rientrare nel limite prescritto delle 200 unità per il canile rifugio e nelle 20 per il canile sanitario, la struttura continuava a partecipare e ad aggiudicarsi le gare indette dai vari Comuni, incrementando ulteriormente il numero degli animali ricoverati".


La Cassazione, rigettato il ricorso, ha condannato i ricorrenti a pagare le spese di processo.